Acqua Alta: L'alluvione del 1966 Testo di Giuliano Graziussi (Vivere a Venezia, Gennaio-Giugno 1992) | ||||
4 novembre: per le strade
I segni dell'acqua sul ponte di Rialto
4 novembre: i Murazzi a Pellestrina
4 novembre a Murano
4 novembre a Burano
4 novembre a Torcello
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Venezia, Murano, Burano, Torcello, Pellestrina e... tanta paura
4 novembre: la Basilica di San Marco ed il Palazzo Ducale
E’ giusto che " Vivere a Venezia" ricordi la tragedia dell'alluvione del novembre 1966, che devastò Venezia e le sue isole. Non farò commenti inutili, nè riporterò i " bla-bla" dei politici e polemici di turno, né parlerò delle furibonde polemiche scoppiate subito dopo, speculando ancora una volta sulle disgrazie dei veneziani, né dei consorzi creati ad hoc che fecero emergere nuovi quadri dirigenti. Ognuno si è fatto una personale opinione sull'inefficienza degli organi preposti., Descriverò i momenti più tragici, anche se le immagini fotografiche che vi propongo parlano già da sole. Vi posso solo dire che, quella notte del 4 novembre dopo aver fatto la Strada Nuova a piedi, con 60-70 cm. d'acqua (mi arrivava oltre al ginocchio), scarpe in mano, arrivai al Ponte delle Guglie. Il buio era totale. Dovevo percorrere la fondamenta di Cannaregio per arrivare a casa. Stranamente, non c'era nessuno: forse tutti erano già rassegnati, tutti si sentivano impotenti di fronte a quest'acqua che inesorabilmente cresceva centimetro dopo centimetro. Dalle due parti della riva non esisteva più la fondamenta. Avevo veramente paura, anche perchè ero solo poco più che un ragazzo. L'acqua saliva, saliva e guardavo con terrore una sedia che galleggiava, trasportata velocissimamente dalla corrente, verso ponte dei Tre Archi. Questo significava che l'acqua cresceva ancora, cresceva, cresceva. Ero a poche decine di metri da casa e sentivo la necessità di raggiungerla, per poter rassicurare finalmente i miei. Avevo provato, a telefonare, immerso nell'acqua, da un telefono pubblico, ma inutilmente: le linee erano saltate. Sceso l'ultimo gradino del ponte, mi trovai l'acqua alla cintola. Istintivamente, alzai le scarpe che tenevo in mano. Rasente i muri delle case, proseguii verso il ponte. Non c'era anima viva. Cominciava anche a piovere, e il pianto di un bambino, invece di rasserenarmi e farmi capire che non ero solo in mezzo a quella tragedia mi fece gelare. Le ginocchia mi tremavono. Terrorizzato, cercavo di individuare da dove giungesse il pianto e naturalmente fissavo al buio l'acqua sporca e nera. Solo dopo, mi accorsi che la voce proveniva dalla finestra del secondo piano di un'immobile accanto. Quando arrivai a casa, l'acqua mi era arrivata al petto. La sensazione di desolazione e di solitudine, di non protezione da parte degli organi preposti, l'amara realtà di poche ore prima, di veder perdute, impotenti, le proprie cose in così breve tempo, balzavano agli occhi mentre percorrevo il giorno dopo, nel senso contrario, la medesima fondamenta e non più solo, ma con i miei genitori. Guardavo i negozianti che non levavano l'acqua dai loro negozi, poiché la stessa si era ritirata, ma che li svuotavano nel vero senso della parola di tutto quanto era stato toccato dall'acqua salata dell'Adriatico. Abitazioni del pian terreno (a quell'epoca ve ne erano tante a Venezia) che mostravano interamente la loro tragedia: frigoriferi, materassi, nella fondamenta, e tanti, tanti mucchi di stracci bagnati. Non era una giornata di scirocco come la precedente, il freddo di novembre si faceva sentire. E di certo l'acqua e l'umidità non agevolavano la situazione oltremodo disperata che si presentava. Quanti di questi veneziani hanno potuto riprendere una vita quotidiana normale dopo una così grande disgrazia? Forse perchè MOSE (da non confondersi con quello biblico) non era ancora arrivato per salvarli.
TRAGICHE DEVASTAZIONI Venezia, con ogni sua isola, venne sommersa e violentata da una mareggiata di dimensioni apocalittiche il 4 novembre del 1966. Negozianti ed artigiani veneziani videro le loro merci rovinate irreparabilmente e per sempre dall'alluvione. Saltarono impianti telefonici, bruciatori per termosifone, tubazioni per l'acquedotto, provocando il totale isolamento della città e paralizzandone ogni attività. Piazza S. Marco venne coperta da quasi un metro e mezzo d'acqua e per tutto il giorno venne spazzata da un furioso vento di scirocco a oltre cento km. all'ora, che sollevava violentissime ondate offrendo uno scenario di catastrofe. Migliaia di topi (pantegane) e di colombi annegati assieme ad ogni sorta di suppellettile, galleggiavano sull'acqua dando al mondo uno spettacolo di desolazione e di morte. Naturalmente gondole e ogni mezzo acqueo, ormeggiate al molo, colarono a picco dopo aver subito la violenza delle onde che le sbattevano sulla fondamenta. L'eccezionale alta marea raggiunse il livello massimo di quasi due metri e cessò quando il vento cambiò direzione saltando però le sei ore normali di deflusso della marea verso il mare aperto. La mattina del 5 novembre i veneziani subito si rimboccavano le maniche per porre rimedio, per quanto umanamente possibile alle devastazioni dell'alluvione, e non aspettarono certo con le mani in mano i contributi dello Stato. A Venezia, morirono a causa dell'alluvione, quattro persone.
Giuliano Graziussi Le foto provengono dall'archivio fotografico di Ermanno Reberschak. |
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