Home

E.mail 

Venezia e la caduta della Serenissima Repubblica di Fabio Osetta (Vivere a Venezia,Gennaio-Giugno 1997)

Il doge e la dogaressa nelle ricche vesti da parata

Incisione di Giulio Coltri nel libro Habitus di G.G. Boissard, 1581

 

“Toè questa no la doperò più”. Secondo la tradizione è l'ultima frase pronunciata da doge da Lodovico Manin 120° ed ultimo Principe della Repubblica di San Marco. L'avrebbe pronunciata al servitore Bernardo Trevisan nell'atto di porgergli la cuffietta di tela bianca, il così detto velo ducale, che si portava sotto il camauro, curioso copricapo a forma di corno, emblema della dignità dogale. Il 1° doge, Paoluccio Anafesto, era diventato tale nel 697.

1100 anni sono un buon primato per uno Stato. Purtroppo l'epilogo della Repubblica ha un inizio glorioso ed un epilogo farsesco al tempo stesso.

Il 20 aprile del '97 il vascello francese, «Liberatore d'Italia» (il nome è già un programma), adducendo il fatto che era inseguito da navi austriache cercò di forzare il Porto del Lido. Il comandante del forte di Sant'Andrea, Domenico Pizzamano, ligio agli ordini ricevuti, diede ordine di far fuoco bloccando e catturando il «Liberatore».

Per inciso tale episodio bellico è l'unico che vede protagonista il forte di Sant'Andrea. Fine farsesca, dicevamo, ma tutto non si può avere o pretendere. Dovendo ancora credere alla tradizione, la sera del volto del Maggior Consiglio che dichiara chiusa la stagione di San Marco, il Manin, non più doge, sempre rivolto al fido Trevisan si è così accomiato «sta' sera no semo sicuri gnanca del nostro leto». Il suicidio è volontario, la morte gli eroi non la subiscono. Con 500 voti a favore, 20 contrari e 5 non sinceri, il leone finisce di ruggire.

Ma il voto del Consiglio è nullo; 1218 erano gli aventi diritto e per decidere su affari rilevanti era necessaria la presenza, almeno, di 600 rappresentanti di quella aristocrazia guerriera che aveva, un tempo, saputo tener testa al Turco. Ma dov'erano gli assenti? Molti avevano dismesso la marsina ed indossato la giubba rivoluzionaria, altri se ne stavano rintanati nelle loro case. Ma non dobbiamo per questo essere troppo severi.

La Repubblica non esisteva più. I francesi erano acquartierati a Mestre e 12 giorni prima avevano sottoscritto il preliminare di pace con gli austriaci che pretendevano la spartizione dei territori della Serenissima. Il trattato di pace vero e proprio darà firmato il 18 ottobre nella villa di Ludovico Manin, in quel di Passariano. Sarà il trattato di Campoformio. I francesi i rivoluzionari, i sovventori del millenario stato erano penetrati nella Repubblica senza colpo ferire, senza scasso. Erano entrati dalla porta più fortificata di terraferma: Peschiera. In ossequio alla politica di neutralità disarmata, votata dal tremebondo Senato per blandire il piccolo Corso invitto, Peschiera era stata sguarnita di munizioni e uomini. Le città vengono conquistate (o liberate) una dopo l'altra; prima Bergamo, poi Brescia, Vicenza, Padova, Treviso, solo Verona resiste, si organizza contro il nemico, saranno le celebre «Pasque Veronesi» ma è solo un episodio isolato.

La terraferma si concede a Bonaparte liberatore poiché si ribella a Venezia dominante.

 

È il tracollo della società aristocratica, dello stato oligarchico fuori tempo massimo con la storia. Se i commerci l'avevano fatta grande, permettendole di sorgere dalle barene e dalle velme della laguna, da tempo Venezia viveva nel ricordo e nell'oblio del tempo andato. Per secoli i Veneziani avevano reinvestito le ricchezze accumulate e quando il Turco incominciò a diventare egemonico nel Mediterraneo e i traffici mercantili a intraprendere le rotte dell'Atlantico, Venezia aveva investito in attività e industrie artigianali particolarmente fiorenti. Il prodotto finito era di tale qualità da non aver concorrenti in Europa. La produzione della famosa pannina veneziana e dei velluti di seta, avevano reso la città, monopolista di questi come di altri prodotti. Nel '500 Venezia era capitale dell'editoria. I Manunzio, i Giolito, sono editori che si impongono per la qualità della stampa e per ciò che stampano. Come fattore culturale l'editoria è più in generale l'attività della stampa, entrano in crisi con la riforma protestante cesura tra Nord e Sud Europa e con indubbi riflessi negativi sull'economia. Ma è proprio il sistema economico veneziano a non sapersi confrontare con quelle che oggi chiamiamo le sfide del mercato. L'economia veneziana si basava sull'oligopolio delle arti, delle corporazioni di mestiere ed il monopolio di Venezia, centro finanziario dominante su tutte le città di terraferma.

L'incapacità di modificarsi, ben traspare dalle relazioni dei Savi della Mercanzia che lamentano la decadenza delle arti e delle corporazioni per il sorgere di imprese concorrenti in Francia, Germania, Inghilterra e cosa ancor più grave, nelle città di terraferma. È il 1696. Se la decadenza economica incalza e nuovi ricchi nascono e si formano al di là della laguna, ben vengano a Venezia e che paghino per entrare nel libro d'oro della nobiltà. La Venezia del 18° secolo ha molto in comune con la nostra società degli anni '80: l'imperativo è apparire ed il richiamo a Goldoni cronista è d'obbligo.

Dopo Campoformio, Venezia passa all'Austria per poi ridiventare francese nel 1805. Ritorna all'Austria nel 1815 dopo l'eclissi napoleonica. È una città smagrita quella che entrerà a far parte del Lombardo-Veneto. In questo. Napoleone non può essere biasimato. La legge del contrappasso è sempre in agguato. Venezia per secoli aveva razziato in lungo e in largo. Così, per fare un esempio, la quadriga marciana che Venezia aveva rubato a Costantinopoli, i Francesi la rubano a Venezia. E se i cavalli ritorneranno in laguna, così come altre opere d'arte razziate (ma non tutte), il merito lo dobbiamo ad un artista figlio della Serenissima: Antonio Canova.

Sotto la dominazione austriaca, Venezia languirà nella decadenza incomincerà ad elaborare quella dimensione del lutto che diventerà nel corso dell'800 un cliché, dal quale non saprà o forse non vorrà riscattarsi. Questa immagine di Venezia decadente luogo della morte troverà in Thomas Mann il più importante tour operator dell'industria turistica. Vienna assegnerà a Milano il titolo di capitale del regno Lombardo-Veneto e gli investimenti saranno concentrati nelle città di terraferma.

Volutamente si penalizza il porto di Venezia a vantaggio dello scalo commerciale di Trieste. Paradossalmente questo ruolo di subalternità gioverà alla città lagunare perché nel corso dell'800 non subirà pesanti trasformazioni urbanistiche in grado di violentarne il tessuto urbano. Lo spirito repubblicano rivivrà effimero nel '48, quando il 22 marzo Daniele Manin ma non induca in errore il cognome, non era parente dell'aristocratico Lodovico, avvocato di professione viene eletto Presidente del Governo Provvisorio Repubblicano. Effimera Repubblica, cesserà il 24 agosto del 1849 dopo mesi di assedio, bombardamenti, con una popolazione affamata ed in preda al colera.

Repubblica gloriosa, però, perché ha scritto una delle più belle pagine del nostro Risorgimento che troverà compimento con l'annessione del Veneto e di Venezia al regno d'Italia nel 1866. Potere dei numeri e delle date! Nel 1966 Venezia festeggiava il centenario del riscatto nazionale e l'acqua granda del 4 novembre dimostrava in termini drammatici che questa città era nella sua essenza fragilissima. Non si è ancora spenta l'eco delle celebrazioni del 4 novembre 1996 che hanno ricordato il trentennale di quell'infausto giorno ed oggi siamo chiamati a ricordare il bicentenario di fine altrettanto infausta.

La storia non ha sentimenti. Questo bicentenario non deve essere occasione per ricordare una grandezza consegnata ormai alla storia ma deve essere momento di impegno e di confronto serrato sui temi della salvaguardia fisica della città.

PERASTRO («Dalmazia) 23 AGOSTO 1797

 

«In sto amaro momento, che lacera el nostr cor, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneta Serenissimo Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Republica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta passata e de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatai, ma virtuoso, ma doveroso per nu.

«Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fin a l'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur, e in sti nostri ultimi sentimenti coi quali siglemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto al Serenissimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta Insegna che lo rappresenta, e su de ela sfoghemo el nostro dolor. «Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e fedelissimi sempre se avemo reputa Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stai illustri e vittoriosi. Nissun con Ti ne ha visto scampar, nissun con Ti ne ha visto vinti e spaurosi!

«E se i tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, per dimension, per arbitri illegali, per vizi offendenti la natura e el gius de le genti, non Te avesse tolto da l'Italia, per Ti in perpetuo sarave le nostre sostanze, el nostro sangue, la vita nostra e, piuttosto che vederTe vinto e desonorà dai toi. el coraggio nostro, la nostra fede se avarave sepelio sotto de Ti !

«Ma za che altro no ne resta de far per Ti, el nostro cor sia l'onoratissima to tomba, e el piti puro e el più grande to elogio le nostre lagreme!».

 

Giuseppe Viscovich Capitan de Perasto

 

Le riviste (Magazines)

Vivere a Venezia

Notiziario tecnico professionale di Architettura

Carlo Scarpa

 

Venezia (Venice)

Il carnevale

La regata storica

Le repubbliche marinare

Il Festival del Cinema

Il Gran Teatro La Fenice

I dipinti del Gran Teatro La Fenice

Storia dei teatri veneziani

Aspetti dei teatri veneziani

I giardini

Il liberty

L'oratorio San Filippo Neri

Gli organi del Triveneto

Masi Tabià Squeri e Casoni

Il banditismo nel Veneto

L'isola di San Servolo

I Paleoveneti

La basilica di San Marco

Il Gonfalone di San Marco

Acqua Alta 1966

Giovanni Correr e il Porto Franco

La caduta della Serenissima

La peste a Venezia

Il vetro di Murano

Le vetrate artistiche

Le edizioni d'arte (Art Editions)

Hanno collaborato...

Cossovel e Warhol

Benetton, Blatas, Borsato, De Luigi e Venezia

Antonio Corpora e Milena Milani

Renato Borsato

Aeromeeting '83

Arbit Blatas "scene"

Arbit Blatas "personaggi"

Vittorio Basaglia

Italo Mussa e il disegno

Novella Parigini: Carnevale e Zodiaco

Ludovico De Luigi e Ingrid Bergman

I balletti di Ilya Shenker

Giuseppe Cesetti e Tono Zancanaro

Le gallerie (Galleries)

Storia delle gallerie

PalaGraziussi

RICOVERI d'Arte

Manifesti delle mostre

La Pala di Ludovico De Luigi

© Giuliano Graziussi. Tutti i diritti riservati

Web Master: Laura Hierche